L’ingiustificata mancata partecipazione di una parte al procedimento di mediazione demandata disposta dal giudice è valutabile ai fini della decisione nel merito della causa (art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 8 D. Lgs. 28/2010); il mancato rispetto dell’ordine impartito dal Giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, D. Lgs. 28/2010 integra colpa grave e può fondare la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c.
Nell’ambito di una controversia in tema di risarcimento danni conseguenti ad un trattamento estetico (danni causati da alcune dosi di tintura lasciate su parti del viso in seguito ad una tintura di capelli e sopracciglia, shampoo e messa in piega), il Giudice:
- formulava alle parti una proposta di conciliazione ex art. 185-bis c.p.c.;
- assegnava alle parti un termine per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di detta proposta;
- disponeva che dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine sarebbe decorso quello ulteriore di quindici giorni per depositare presso un organismo di mediazione la domanda di cui all’art. 5, comma 2, D. Lgs. n. 28/2010 (cd. mediazione demandata o delegata).
La proposta conciliativa del Giudice non veniva accolta e nel procedimento di mediazione la compagnia di assicurazione, pur costituita in giudizio senza negare la vigenza ed efficacia della polizza, non si presentava, decretando di conseguenza il fallimento del procedimento di mediazione.
Ciò posto, il Giudice accoglie la domanda attorea anche sulla base della circostanza di detta mancata partecipazione alla mediazione demandata dell’assicurazione (che aveva svolto una difesa improntata alla contestazione del merito della controversia).
Rileva al riguardo l’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 8, D. Lgs. 28/2010. Tale norma dispone che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, secondo comma, del codice di procedura civile”).
La pronuncia in commento ricorda in argomento che l’art. 116 c.p.c. viene richiamato dal legislatore della mediazione nell’ambito della “ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti”; ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in presenza della comparizione della parte convocata.
Ne consegue – osserva il Giudice – che “equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore, svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ordinamento giuridico”; si consideri al riguardo quanto segue:
- l’attuale “endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia”;
- che detta crisi è causata dalla “imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti”;
- ciò con le “gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi”;
- che appare quindi necessario “rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art. 116 c.p.c.) tuttora vigente ma un po’ desueta”.
Pertanto, va affermato che l’ingiustificata mancata partecipazione di una parte al procedimento di mediazione demandata è valutabile ai fini della decisione nel merito della causa.
Ciò – pone in evidenza il Giudice – con la precisazione che segue: “giammai la mancata comparizione in sede di mediazione può costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica”; difatti, lo strumento offerto dall’art. 166 c.p.c. “attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere (…) ai fini dell’accertamento del fatto”.
In particolare, l’argomento di prova:
- “appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta”;
- nel processo di inferenza dal fatto al convincimento, ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi;
- come le presunzioni semplici, “ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice”.
Pertanto, la mancata comparizione della parte regolarmente convocata davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa: gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa possono dunque “costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova”.
Tutto ciò considerato, nel caso di specie si afferma che l’assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione dell’assicurazione alla mediazione demandata concorra a ritenere raggiunta la piena prova dell’inadempimento dell’assicurato, che ha posto in essere una prestazione errata e dannosa.
La pronuncia in commento conferma altresì che il mancato rispetto dell’ordine impartito dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, D. Lgs. 28/2010 (invio delle parti in mediazione: c.d.mediazione demandata o delegata) può fondare la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’ art. 96, comma 3 c.p.c. (a norma del quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”).
Il Giudice – premesso che benché non sia richiesto espressamente dalla norma, la giurisprudenza ritiene necessario anche il requisito della gravità della colpa o del dolo (non essendo ragionevole sanzionare la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale, ma essendo invece necessario che esista qualcosa di più rispetto ad essa) – si allinea all’orientamento interpretativo per cui il mancato rispetto dell’ordine in questione integra colpa grave, se non dolo.
Pertanto, provvede all’applicazione dell’art. 96, comma 3, c.p.c., precisando che l’ammontare della somma deve essere rapportato allo stato soggettivo del responsabile ed alla necessità che (in relazione al soggetto responsabile, ed in particolare alla sua forza e capacità patrimoniale), la condanna costituisca un “efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile”.
FONTE: altalex