SENTENZA
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE DI VERONA
SEZIONE CIVILE
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione III Civile, Dott. Massimo Vaccari definitivamente pronunziando nella causa civile di grado promossa con atto di citazione notificato in data 27 agosto 2014
F.
contro
U.,
MOTIVI DELLA DECISIONE
(…)
Venendo al merito va innanzitutto ribadita la genericità delle doglianze attoree relative alla applicazione di interessi ultralegali, addebiti di costi in difetto di pattuizione sui giorni valuta e di interessi usurari sotto il profilo soggettivo in difetto della allegazione, rispettivamente del tasso di interesse concretamente applicato nel corso del rapporto, dei giorni valuta pattuiti e delle circostanze di fatto integranti la situazione di difficoltà economica del correntista.
Sono invece fondati i rilievi relativi all’applicazione di interessi usuari e anatocistici e di una commissione di massimo scoperto. Con riguardo a quest’ultimo profilo è sufficiente osservare che la c.m.s. non era stata pattuita né nel contratto di conto corrente del 17 febbraio 1998 né nel contratto di affidamento del 30.10.1998 (cfr. doc. 3 e 4 di parte convenuta).
Per quanto attiene invece all’applicazione del meccanismo anatocistico giova evidenziare come la convenuta non abbia dimostrato di aver provveduto a far pubblicare la relativa comunicazione in Gazzetta Ufficiale avendo prodotto un estratto privo di riferimenti temporali. Per quanto attiene alla quantificazione del credito restitutorio è possibile rinviare alle convincenti conclusioni della ctu espletata nel corso del giudizio, che non sono state contestate dalla difesa attorea in punto di quantificazione degli importi addebitati a titolo di c.m.s. e di interessi anatocistici.
Per quanto riguarda invece la quantificazione dell’importo addebitato a titolo di interessi usurari la ctu si è attenuta alle indicazioni date da questo giudice di attenersi alle istruzioni della Banca d’Italia sui criteri di calcolo del Teg.
Il diverso criterio proposto dagli attori per il calcolo del Teg non è condivisibile. A tale riguardo, occorre innanzitutto osservare che, per il periodo precedente all’entrata in vigore della L. n. 2/09, non si condivide l’assunto teorico attoreo che ricollega il metodo di calcolo del TEG alla diretta applicazione del principio di cui all’art. 644, 4 comma cod.pen., (“…per la determinazione del tasso d’interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”), che ricomprende nel calcolo del TEG anche la C..
Invero, può evidenziarsi, criticamente, che tale assunto: 1) porta alla “disapplicazione” delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’alt 2, comma 1, della legge n. 108/96, che espressamente escludono la C. dal computo del TEG prevedendone la rilevazione separata (vedi pgf. C5 delle Istruzioni come periodicamente aggiornate sino al 2009), senza tuttavia considerare che la stessa legge 108/96, nel rimettere all’autorità amministrativa ministeriale il compito del rilevamento periodico dei tassi, esige la rilevazione comparata di “… operazioni della stessa natura”, cioè di elementi omogenei tra loro, quali non sono gli interessi e la C., ove concepita, secondo il modello di tecnica bancaria (ripreso poi anche da Cass. n. 870/06, che ne ha valorizzato il carattere di remunerazione per la messa disposizione dei fondi indipendente dall’effettivo prelevamento) come “il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto” (cfr. Istruzioni Banca d’Italia, nei vari aggiornamenti periodici, sub pgf. C5) e perciò fatta oggetto di autonoma rilevazione “…finalizzata all’enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, all’evidente fine di non omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente disomogenei (si pensi, ad es., a quelli che accedono al mutuo fondiario familiare per l’acquisto della prima casa rispetto a quelli, assai diversi financo sul piano ragionieristico, derivanti da apertura di credito in conto corrente in favore di impresa commerciale”) (cfr. Tribunale di Verona, sent. 3/10/12); 2) non tiene conto del fatto che, riconosciuta nell’art. 644 una norma penale in bianco suscettibile di eterointegrazione per la determinazione del “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, sono gli stessi Decreti Ministeriali di rilevazione dei tassi usurari, emessi ai sensi dell’art. 2 della legge n. 108/96 e, quindi, integrativi della stessa norma penale (cfr. art. 644, 3 comma, cod.pen.), che, “legificando”il criterio tecnico della B.I.: a) prevedono espressamente che i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, la quale viene rilevata e pubblicata a parte, come allegato alla tabella dei tassi (cfr. art. 1, 2 comma, dei decreti); b) fanno propri i criteri illustrati dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”, che sono elaborate dall’Istituto di Vigilanza non già per ragioni interne al sistema bancario o meramente statistiche bensì proprio nell’ambito del procedimento disciplinato dall’art. 2 della legge n. 108/96; c) ribadiscono che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, 4 comma, della legge n. 108/96, si attengono ai criteri di calcolo delle Istruzioni della Banca d’Italia (cfr. art. 3, 2 comma, dei decreti). Inoltre, la tesi dell’inclusione della C. nel calcolo del TEG, si pone in aperto contrasto: a) con la ultima parte del 2 comma dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, che, a chiusura del dibattito giurisprudenziale insorto negli anni in materia, ha previsto l’inclusione della C. nel calcolo del TEG solo a partire dalla data dell’entrata in vigore della legge stessa, confermando per il periodo precedente la disciplina anteriormente in vigore (cfr. l’art. 2 bis, 2 comma, ultima parte, della L. 2/09, secondo cui “Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”); b) con la prima parte del 2 comma dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, che correlativamente prevede che “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”). Peraltro è fondata l’eccezione di prescrizione del credito restitutorio derivante dagli addebiti a titolo di interessi usurari, anatocistici e di c.ms. anteriori al 28 agosto 2004, ovvero al decennio antecedente la notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio. Ad avviso di questo giudice, pur nella massima autorevolezza del precedente in quanto espressione del massimo organo di nomofilachia del nostro ordinamento, il ragionamento fondante la pronuncia della Suprema Corte a sezioni Unite n.24418/2010 non convince e non sia perciò pienamente condivisibile. Per le ragioni che si diranno, non convince né il punto di partenza del ragionamento della Corte, che pone al centro dell’indagine ricostruttiva la “fenomenologia’ del rapporto di apertura di credito regolata in conto corrente, né l’affermazione conclusiva, fondata sulla distinzione tra rimessa solutoria e rimessa ripristinatoria, secondo la quale in presenza di apertura di credito in conto corrente il termine prescrizionale dell’azione decorre dalla chiusura del conto ogni volta in cui sia configurabile un versamento intra fido del correntista. A parere di questo giudice, per il corretto approccio al tema in esame, deve innanzitutto tenersi conto del principio generale secondo il quale la proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi degli artt. 2943 e 2945 cod.civ. con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità al rapporto cui essa inerisce (Cassazione civile sez. III 15 luglio 2011 n. 15669; Cass. civ. 18 gennaio 2011, n. 1084; Cass. civ. 1 ottobre 1997, n. 9589; Cass. civ. 14 giugno 1988, n. 4031; Cass. civ. 11 novembre 1977, n. 4884).
Orbene, premessa come pacifica la distinzione tra l’azione di nullità del correntista, che è azione di accertamento negativo imprescrittibile, e l’azione di ripetizione dell’indebito, che è azione di condanna soggetta a prescrizione decennale, deve ritenersi che anche la domanda giudiziale di accertamento negativo del credito (intimamente connessa a quella di rettifica del saldo) interrompa la prescrizione della eventuale domanda restitutoria della prestazione eseguita dal debitore in esecuzione del negozio nullo, essendo quest’ultima una domanda strettamente conseguenziale a quella di accertamento della nullità. In tale prospettiva, ritiene la scrivente che il principio espresso dagli artt. 2943 e 2945 cod.civ. trovi applicazione anche rispetto all’azione del correntista di accertamento negativo del credito vantato dalla banca sulla base di clausole contrattuali nulle per violazione di norme imperative ovvero non pattuite, dovendo escludersi che ricorrano ragioni tali da ritenere che in materia di operazioni bancarie regolate in conto corrente il detto principio debba essere derogato. Non può costituire valida ragione di deroga del detto principio l’affermazione “tradizionale’ (cfr. Cass. n. 2262/84; Cass. 10127/05) secondo la quale il rapporto di conto corrente bancario realizza un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, poiché è la stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418/10 in esame a chiarire che l’assunto della natura unitaria del rapporto di conto corrente non è di per sé elemento decisivo al fine di individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione, bastando pensare alla corresponsione dei canoni di locazione, in cui l’unitarietà del rapporto contrattuale e il fatto che sia destinato a protrarsi nel tempo non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo. Nemmeno costituisce convincente ragione di deroga al suesposto principio il richiamo di Cass. n. 24418/10 alla distinzione tra rimessa solutoria e rimessa ripristinatoria in conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito, trattandosi di categorie ricorrenti nella dottrina e giurisprudenza in materia fallimentare per individuare le “rimesse” del correntista assoggettabili a revocatoria, ma che probabilmente non si prestano a terreni diversi da quello del fallimento, in cui il debitore correntista è in bonis e non si pongono esigenze di tutela del concorso dei creditori e della par condicio creditorum. Non convince, invero, nel ragionamento della Corte l’aver posto al centro dell’indagine connessa alla individuazione della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione il “versamento” da parte del correntista, cioè tecnicamente la rimessa di denaro del correntista sul conto corrente, tenuto conto che la domanda del correntista ha ad oggetto innanzitutto l’accertamento della nullità delle clausole contrattuali in base alle quali la banca effettua sul conto l’annotazione (a debito) di poste passive (per interessi, per C., etc.) e solo eventualmente, in caso sia individuabile uno spostamento patrimoniale privo di titolo, la ripetizione delle somme indebitamente pagate.
Rispetto all’atto di “annotazione a debito” da parte della banca di poste per interessi, C. etc., e alla relativa indagine se esso, incidendo come si dirà sul saldo disponibile, dia luogo o meno ad uno spostamento patrimoniale integrante pagamento indebito, non sembra utile (risultando anzi fuorviante) la distinzione tra rimessa solutoria e rimessa ripristinatoria, poiché, in materia di operazioni bancarie regolate in conto corrente, detta distinzione – che pure acquista autonoma e decisiva rilevanza in materia fallimentare, ove si tratta di stabilire proprio quali rimesse, cioè quali versamenti, del correntista siano assoggettabili ad azione revocatoria in quanto aventi funzione solutoria e quali no in quanto non aventi tale funzione – trascura completamente l’analisi della funzione e degli effetti giuridici dell’annotazione a debito in conto corrente bancario da parte della banca (rispetto alla quale la Corte – in modo non del tutto persuasivo – assume che “…in nessun modo si risolve in un pagamento poiché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista in favore della banca” (con l’effetto che non può farsi decorrere da detta annotazione il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito).
Pur a voler abbracciare la prospettiva seguita dalla Corte con la sentenza in esame -fondata sull’individuazione di un atto giuridico integrante un pagamento – ritiene il giudicante che il principio generale sopra enunciato (la domanda giudiziale del correntista di accertamento negativo del credito della banca interrompe la prescrizione della eventuale domanda restitutoria della prestazione eseguita dal debitore in esecuzione del negozio nullo) trovi uno specifico fondamento normativo nel combinato disposto degli artt. 1832, 2 comma, 1852 e 2935 cod.civ.. Il secondo comma dell’art. 1832 cod.civ., disciplinante il contratto di conto corrente ordinario ma espressamente richiamato dall’art. 1857 cod. civ. per le operazioni regolate in conto corrente, nel descrivere il meccanismo dell’impugnazione del conto per errori di scritturazione o di calcolo, fa espresso riferimento all’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura del conto, che è pacifico essere la liquidazione di chiusura periodica del conto, cioè quella che, nella prassi invalsa tra le banche in epoca precedente alla delibera CICR del 2000, era la chiusura trimestrale del conto, finalizzata al riporto periodico in conto degli interessi e delle competenze maturate sulle somme oggetto d’affidamento e alla rendicontazione da parte della banca, tramite la comunicazione dell’estratto conto, delle prestazioni rese in favore del correntista secondo lo schema del mandato (cfr. art. 1856 cod.civ.).
Il pacifico riferimento dell’art. 1832, 2 comma, cod.civ. alla liquidazione di chiusura periodica del conto consente di ipotizzare il contratto di conto corrente come un rapporto astrattamente suscettibile di essere suddiviso in plurimi segmenti distinti, ognuno dei quali corrispondente al periodo intercorrente tra l’una e l’altra liquidazione periodica e, quindi, di ritenere superabile la premessa dogmatica dell’orientamento – peraltro già richiamato criticamente dalla stessa Cass. n. 24418/10 – secondo il quale, all’opposto, il rapporto di conto corrente va inteso come “…un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro”. L’astratta idoneità del conto corrente ad essere suddiviso in segmenti distinti ed autonomi potrebbe invero consentire di affermare, diversamente da quanto sembra assumere Cass. n. 24418/10, che il rimborso delle spese sostenute e il pagamento del compenso maturato, così come la restituzione delle eventuali somme anticipate e degli interessi maturati sulle somme oggetto d’affidamento, avviene in corso di rapporto e in particolare ad ogni chiusura periodica del conto, e non già alla sua chiusura definitiva, con l’effetto che può riconoscersi che è la stessa attività della banca di regolazione in conto corrente ad ogni chiusura periodica a determinare il “pagamento” di competenze e interessi e, quindi, ad integrare un’attività solutoria come tale suscettibile di realizzare, quantomeno ad ogni chiusura periodica del conto, uno spostamento patrimoniale dal correntista in favore della banca, integrante, ove mancante di causa giustificativa e quindi indebito, un pagamento ripetibile (cfr. per tale interpretazione Trib. Lucca 10/5/13).
Sul piano ricostruttivo, appare allora evidente che occorre spostare il focus dell’indagine dalla rimessa in conto del correntista agli effetti giuridici della “annotazione” di poste passive sul conto da parte della banca, e prendere atto che la sequenza di annotazioni – incidendo sul saldo disponibile del conto, che si modifica di momento in momento – determina uno spostamento patrimoniale immediato dal correntista in favore della banca, cioè di fatto un “pagamento” autonomo ed anticipato rispetto all’evidenza contabile che di esso offre l’estratto conto comunicato al correntista alla prima chiusura periodica successiva all’annotazione (come emerge chiaramente se si considera il caso in cui il correntista, immediatamente dopo l’annotazione di una posta passiva indebita da parte della banca, esiga il saldo a suo credito sul conto corrente, poichè in tal caso è certo che il saldo disponibile dal correntista è quello già decurtato della detta posta indebita). Sull’importo riconosciuto come dovuto agli attori, sulla base delle risultanze della ctu (euro 13.002,76) spettano anche gli interessi al tasso legale dalla data di notifica dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 2033 c.c. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite quelle relative alle fasi di studio e introduttiva vanno poste a carico della convenuta in applicazione del principio della soccombenza. Le spese delle fasi istruttoria e decisionale e quelle della espletata ctu vanno invece poste a carico degli attori atteso che essi hanno rifiutato, senza addurre nessuna giustificazione, la proposta conciliativa che l’istituto di credito aveva formulato già all’udienza del 16 aprile 2015, quindi ben prima dello svolgimento della ctu, e che prevedeva la corresponsione in loro favore di una somma (euro 13.000,00) sostanzialmente corrispondente a quella riconosciutagli con la presente sentenza.
È ben possibile pertanto applicare il disposto dell’art. 91, primo comma secondo periodo c.p.c. atteso che la prosecuzione del giudizio dopo il predetto momento, con tutta evidenza, è stata provocata dalla scelta degli attori, che è rimasta priva di giustificazione anche nel prosieguo. Nonostante il tenore letterale della norma succitata, che prevede, quale presupposto per la condanna della parte che rifiuta la proposta, che la domanda sia accolta “in misura non superiore”, può escludersi che essa richieda una perfetta corrispondenza tra l’importo oggetto della proposta conciliativa e quello oggetto di condanna perché se così fosse il suo ambito di applicazione sarebbe assai limitato in palese contrasto con la finalità deflattiva per la cui realizzazione è stata introdotta con la novella 69/2009. Essa invece richiede al giudice una valutazione della idoneità sostanziale della decisione a soddisfare l’interesse economico della parte a cui è indirizzata in misura superiore a quella della proposta conciliativa. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base dei valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 55/2014 sulla base. Sugli importi riconosciuti a titolo di compenso spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. La convenuta va poi condanna a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato una somma pari all’importo del contributo unificato versato (euro 518,00), atteso che non ha partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo (vedasi verbale del procedimento prodotto da parte attrice).
P.Q.M.
Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, condanna la convenuta a corrispondere agli attor la somma di euro 13.002,76, oltre interessi al tasso legale dalla data di notifica dell’atto di citazione a quella del saldo effettivo e alle spese delle fasi di studio ed introduttiva del presente giudizio che liquida nella somma di euro 1.615,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa ed euro 518,00 per contributo unificato; condanna gli attori in solido tra loro a rifondere alla convenuta le spese delle fasi istruttoria e decisionale che liquida nella somma di euro 3.220,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa; pone definitivamente a carico degli attori le spese della espletata ctu; visto l’art. 8, comma 4 bis, condanna la convenuta al pagamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di euro 518,00.
Verona 14/02/2017
il Giudice Dott. Massimo Vaccari
Fonte: 101mediatori