LA RICONVENZIONALE DEL CONVENUTO NON È SOGGETTA A MEDIAZIONE

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
– SEZIONE V CIVILE –
in composizione monocratica, nella persona del dott. PAOLO D’Avino Giudice dopo la discussione orale svoltasi all’udienza del giorno 18 gennaio 2017, ha pronunziato e dato lettura della seguente
SENTENZA
ex artt. 429 e 447-bis cod. proc. civ. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 25527 r. g. affari contenziosi dell’anno 2016,
vertente
tra
AL 59 S.R.L con sede legale in Roma, Via -omissis-, in persona dell’amministratrice unico pro tempore e legale rapp.te, An. Mi., elett.te dom.ta in Roma, Viale Parioli , presso lo studio dell’avv.to M. T., che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso introduttivo, ,
e
Al. Co. S.R.L., con sede legale in Roma, Via -omissis-, in persona dell’ammin.re unico e legale rapp.te pro tempore, Ma. Ci., elett.te dom.ta in Roma, Via Ippolito Nievo, presso lo studio delL’avv.to G. R. G., che la rappresenta e difende giusta procura a margine della memoria costitutiva depositata in Cancelleria il28.9.2016
OGGETTO: dichiarazione risoluzione affitto d’azienda, restituzione e
risarcimento del danno
PROCESSO E RAGIONI DELLA DECISIONE
Visto il ricorso ex art. 447 cod. proc. civ. depositato in data 15.3.2016 e ritualmente notificato con il pedissequo decreto di fissazione d’udienza, con cui Al 59 S.r.l. ha chiesto all’adito Tribunale sia di pronunziare la risoluzione del contratto inter partes di affitto (in data 30.9.2014 e in autentica notaio Francesco Maria Sirolli Mendaro Pulieri di Roma, n. 38177 rep. e n. 12449 racc.) dell’azienda relativa all’esercizio dell’attività commerciale di “ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande” (con inerenti arredi, attrezzature e dotazioni strumentali) corrente in Roma, Passeggiata -omisiss-, angolo Via -omissis-, sia la condanna della detentrice AlCo. S.r.l. alla restituzione del complesso organizzato di beni produttivi, sull’allegazione del protratto inadempimento (a partire dal mese di dicembre 2015) dell’obbligazione di controparte di corrispondere regolarmente il relativo corrispettivo (pattuito in iniziali E 6.900,00 mensili, oltre IVA, da aggiornarsi automaticamente, dal primo anno in poi, nella misura massima della variazione annuale in aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’ISTAT per famiglie di operai e impiegati; poi consensualmente ridotto a E 4.500,00, oltre IVA, da novembre 2015 e fino al 31.12.2016; a E 5.500,00, oltre IVA, fino al 31.12.2017, e a E 6.500,00, oltre IVA, fino alla naturale scadenza del 29.2.2020);
rilevato, altresì, che la resistente AlCo. S.r.l., costituitasi con memoria difensiva depositata in Cancelleria il 28.9.2016, ha eccepito, in rito, l’improcedibilità del ricorso per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediaconciliazione e, nel merito, l’inadempimento avversario (per mancanza della scheda tecnica d’impianto e del certificato di agibilità, nonché per malfunzionamenti e inidoneità, in particolare, dell’impianto elettrico e della canna fumaria in dotazione dell’azienda oggetto del contratto alla destinazione economico-sociale cui sono posti a servizio), chiedendo, pertanto, al Tribunale, non soltanto il rigetto delle avverse domande, ma anche, in via riconvenzionale, una pronunzia di risoluzione contrattuale in danno della concedente e di condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni;
rilevato che la causa è stata istruita con produzioni documentali;
udita la discussione dei difensori delle parti ed esaminati gli atti;
rilevato l’avvenuto, infruttuoso esperimento del prescritto tentativo di mediazione;
ritenuto, preliminarmente, che: a) la mediazione obbligatoria non si estende (cfr., in particolare, Trib. Reggio Calabria, 22 aprile 2014 e Trib. Palermo 11 luglio 2011, consultabili in “Osservatorio Mediazione Civile” n. 42/2014 e “Osservatorio Mediazione Civile” n. 29/2012) alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto o proposte da eventuali terzi intervenuti (essendo le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità di stretta interpretazione, poiché introducono limitazioni all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost. e, quindi, la locuzione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” deve essere letta come equivalente a “chi intende instaurare un giudizio”; dovendosi salvaguardare i principi della ragionevole durata del processo, dell’efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale e dell’equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione; dovendosi escludere che l’obbligo di preventiva mediazione, il cui scopo prioritario è quello di evitare l’instaurazione di un giudizio, possa sortire l’effetto di definire l’intero contenzioso nel caso di giudizio ormai instaurato e di tentativo conciliativo già fallito per la domanda principale – la mediazione sulle domande riconvenzionali non sarebbe mai preventiva, ma soltanto successiva -;
prevedendo l’art. 5 comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010 – così come inserito dal d.l. 69/2013, c.d. “Decreto del fare”, convertito, con modificazioni, in 1. 98/2013 – la facoltà del convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione – sicché va considerato tale “chi viene citato in giudizio” e non già “chi, avendo promosso un’azione e, pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria”; non potendosi ammettere che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti di nuovo in mediazione, così da allungare i tempi del giudizio); b) l’affermazione formulata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 18 gennaio 2006, n. 830) con riferimento all’art. 46 della legge n. 203/1982 e, cioè, che “l’onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione … sussiste, oltre che a carico dell’attore che agisce in via principale in giudizio, anche nei confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale, secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall’art. 36 cod. proc. civ.” dovrebbe riguardare, semmai, la sola domanda riconvenzionale c.d. “inedita”; c) non vi è, comunque, stata, nella fattispecie, eccezione in proposito da parte della ricorrente;
ritenuto, altresì, che, mentre quest’ultima non ha proposto istanze istruttorie, i mezzi richiesti dalla parte resistente non appaiono ammissibili e rilevanti, sia perché, quanto alla prova testimoniale, la stessa dovrebbe avere per oggetto circostanze negative (essere vero che i locali sono “sprovvisti della scheda tecnica d’impianto”; che l’attività manca delle “licenze, concessioni o autorizzazioni edilizie e urbanistiche”; che non esistono il piano soppalcato né quello interrato; che la canna fumaria – prescritta dal regolamento comunale d’igiene – “non svolge alcuna dispersione dei fumi”) ovvero apprezzamenti e valutazioni di carattere tecnico e non già “fatti” percepiti (essere vero che la canna fumaria “risulta costruita con materiale nocivo alla salute e non dotata di sezione e altezza sufficienti”; essere vero che l’impianto elettrico “presenta … gravi problematiche” – cavi sprovvisti di protezione in guaina e tubazione e scollegati; scatole di derivazione con cavi in uscita vicini a fonti d’acqua e, quanto alla consulenza tecnica d’ufficio, la stessa (richiesta, invero, soltanto nella “denegata e non concessa ipotesi di contestazione della perizia tecnica di parte”) dovrebbe avere per oggetto, genericamente, “l’idoneità tecnica, materiale e amministrativa del complesso aziendale concesso in affitto” [sic]; sia perché, comunque, la deducente non assume affatto (e, tanto meno, dimostra od offre di dimostrare) di non stare, in concreto esercitando, negli appositi locali, l’attività commerciale de qua (che, dunque, si deve considerare in pieno svolgimento, nonostante – si noti – le denunziate inadeguatezze e i lamentati vizi di conformità – come, del resto, si desume anche dalla prospettazione della parte ricorrente, che, neppure in sede di ricorso incidentale per sequestro giudiziario, dove sarebbe stato sicuramente di suo interesse per giustificare l’opportunità dell’esperita tutela cautelare, ha affermato o potuto dimostrare la chiusura dell’azienda o, almeno, un effettivo “rischio intrinseco” o, addirittura, di cessazione dell’attività commerciale o, comunque, di una forte contrazione della stessa, che ne compromettesse l’avviamento e la proficua gestione e non ne incrementasse né, almeno, salvaguardasse i precedenti risultati produttivi e remuneratori né allega (e, tanto meno, dimostra od offre di dimostrare) se e quali maggiori oneri (non previsti a proprio carico dagli accordi contrattuali e non imposti dalla natura dell’affare) abbia dovuto sopportare ovvero se e in quale misura abbia subito un pregiudizio al lucro normalmente ritraibile dall’attività medesima né, infine, risulta (pur dichiarando di voler “dismettere” il contratto) aver mai fatto offerta di restituzione del complesso di beni asseritamente viziato;
ritenuto che il mancato pagamento dei canoni d’affitto dovuti (espressamente invocato – già con la lettera raccomandata del 10.2.2016 – quale titolo giuridico dell’esercizio del diritto potestativo di provocare la risoluzione anticipata del contratto già in essere e, perciò, delle conseguenti pretese restitutoria e risarcitoria), non essendo contestato, ha trovato piena asseverazione processuale e risulta senz’altro idoneo a spiegare, già per espressa volontà contrattuale delle parti (cfr. artt. 3 e 19), oltre che per consistenza e gravità oggettive, la pretesa efficacia risolutiva di diritto ex art. 1456 cod. civ. e, conseguentemente, a fondare le azionate pretese tanto restitutoria dell’azienda quanto risarcitoria del danno, da accogliersi, per altro, quest’ultima, al netto dell’acconto pacificamente versato il 18.2.2016 (E 4.000,00), in misura corrispondente, per ogni mese di ritardo occorso (dal dicembre 2015), all’importo già periodicamente dovuto e, perciò, in ragione di complessivi E 50.000,00 (= E 4.500 x 13 + E 5.500 x 1 – E 4.000,00);
ritenuto, altresì, che sul predetto ammontare sono, bensì, dovuti gli interessi di legge (e, precisamente, su ogni “rateo” periodico d’indennizzo a far tempo dall’inizio del rispettivo mese di riferimento), mentre non è dovuta l’IVA (tranne che sui canoni veri e propri: residuo del mese di dicembre 2015 e mesi di gennaio e febbraio 2016), poiché, per effetto della concreta volontà delle parti, le somme dovute a un soggetto passivo di imposta a titolo di indennizzo rientrano nell’ambito di applicazione dell’imposta de qua (soltanto) se concorrono a formare l’ammontare complessivo dei corrispettivi contrattualmente dovuti per una cessione di beni o per una prestazione di servizi (ivi compresi i corrispettivi dovuti per “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”), mentre non rientrano nel suddetto ambito di applicazione se manca il presupposto oggettivo, quale appena delineato, e, a maggior ragione, se trattasi di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali da parte del cessionario/committente ovvero del cedente/prestatore (nel senso, perciò, che, ai fini dell’IVA, le somme corrisposte a titolo di indennizzo non rilevano laddove risulti chiaro che non vi è – o non vi è stata – alcuna volontà della parte indennizzata di accondiscendere all’inadempimento o, comunque, al comportamento non conforme al contratto posto in essere dall’altra parte – come, per esempio, quando, sin dagli accordi originari, fosse prevista una penale per inadempimento oggettivamente determinabile ovvero siano state assunte, per reazione alle altrui inadempienze o violazioni, iniziative, giudiziali o stragiudiziali, di tenore inequivocabile -, mentre rilevano in caso contrario e, cioè, se vi è – o vi è stata – un’effettiva volontà della parte indennizzata di consentire un comportamento diverso da quello originariamente pattuito, dietro pagamento di un determinato importo – anche se stabilito in via transattiva;
ritenuto, quindi, che l’accoglimento integrale delle domande della società ricorrente comporta il rigetto di quelle riconvenzionali della resistente;
ritenuto, infine, che il regolamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, deve seguire la soccombenza,
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, così decide:
1. Accoglie la domanda principale e dichiara risolto, a far tempo dal 1°.3.2016, il contratto inter partes di affitto (in data 30.9.2014 e in autentica notaio Francesco Maria Sirolli Mendaro Pulieri di Roma, ) dell’azienda relativa all’esercizio dell’attività commerciale di “ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande” (con inerenti arredi, attrezzature e dotazioni strumentali) corrente in Roma, Passeggiata -omissis-, angolo Via -omissis-;
2. Condanna la società resistente AlCo. S.r.l. a restituire alla società ricorrente A S.r.l., entro quindici giorni dalla pronunzia della presente sentenza, l’azienda di cui al capo “1” che precede (con i locali, gli arredi, le attrezzature e le dotazioni strumentali);
3. Condanna, altresì, la società resistente a corrispondere alla società ricorrente la somma di complessivi E 50.000,00, oltre IVA sulla sola somma di E 9.500,00, nonché interessi di legge sull’intero importo, a decorrere, sia su ogni singolo canone (per il residuo di E 500,00 relativo al mese di dicembre 2015 e per i due mesi di gennaio e febbraio 2016) sia su ogni “rateo” periodico d’indennizzo, dall’inizio del rispettivo mese di riferimento (a far tempo, quindi, per quanto di volta in volta di ragione, da dicembre 2015);
4. Rigetta le domande riconvenzionali proposte dalla società resistente AlCo. S.r.l.;
5. Condanna, infine, la società resistente a rimborsare alla società ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi E 5.500,00 per competenze ed E 1.000,00 per anticipazioni (compreso il contributo unificato), oltre rimborso a forfait come da tariffa professionale, nonché oneri fiscali e previdenziali di legge.
Così deciso e letto in Roma, il giorno 18 gennaio 2016.
Depositata in cancelleria il 18/01/2017

Fonte: 101mediatori

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