REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La BANCA SPA (d’ora in poi: ) ha convenuto in giudizio i sigg.ri B, C, D e E,
chiedendo la revoca ex art. 2901 c.c. della compravendita immobiliare intercorsa tra i
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convenuti il 13.1.2010, in quanto pregiudizievole delle sue ragioni creditorie; in
subordine ha chiesto l’accertamento della simulazione assoluta di tale atto dispositivo.
A fondamento delle richieste la stessa ha rappresentato che:
– Tra il 2007 e il 2009 i coniugi B e C prestavano fideiussione in favore della Srl
per le obbligazioni assunte da questa nei confronti di Banca Spa per la complessiva
somma di € 656.000,00.
– La stessa Srl, di cui C era socio di maggioranza (con il 95% delle quote), aveva
inoltre sottoscritto un contratto di finanziamento con Banca per l’erogazione della somma
di € 135.000,00.
– In data 13.01.2010 i coniugi B e C vendevano ai sigg.ri D e E l’unico bene
immobile di loro proprietà (sito nel Comune di Montaione).
– La compratrice D è sorella di B.
– La venditrice B si riservava il diritto di abitazione sull’immobile compravenduto.
– Il prezzo di vendita, pattuito in € 178.800,00 risultava essere pagato quanto a €
160.394,00 mediante accollo da parte dei compratori dei residui mutui sull’immobile,
quanto a € 18.406,00 mediante due assegni bancari corrisposti prima del rogito notarile.
– Lo stesso giorno della compravendita l’assemblea dei soci della Srl deliberava lo
scioglimento anticipato della società e la messa in liquidazione della stessa ex artt. 2447
e 2484 c.c.
– Con sentenza 41/2011 del 9.03.2011 il Tribunale di Firenze dichiarava il
fallimento della Srl.
– In tale data BANCA vantava un credito nei confronti della Srl per € 124.908,12
in sede ipotecaria e di € 448.984,44 in sede chirografaria;
– La compravendita era stata consapevolmente posta in essere al fine di pregiudicare
i diritti della banca, ovvero era meramente apparente, e funzionale a sottrarre il cespite
dal patrimonio dei fideiussori .
I sigg.ri B, C, D e E si sono costituiti ritualmente, resistendo alle domande, di cui
hanno chiesto il rigetto.
Gli stessi hanno eccepito in via preliminare la carenza di interesse ad agire
dell’attrice, per essere l’immobile in questione già gravato da due ipoteche volontarie
iscritte a garanzia di un residuo debito all’epoca già superiore al valore economico
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dell’immobile stesso. In sostanza parte attrice non poteva fare concreto affidamento su
tale cespite per soddisfare le proprie pretese.
Nel merito, quanto al credito vantato dalla banca, i convenuti hanno eccepito la
decadenza dalla garanzia fideiussoria ex art. 1957 c.c.; quanto all’azione revocatoria, essa
non sarebbe esperibile poiché l’atto dispositivo è stato posto in essere prima del sorgere
del debito e comunque con il consenso della banca e poiché non vi sarebbe in ogni caso
stato alcun pregiudizio delle ragioni creditorie; quanto all’azione di simulazione assoluta,
hanno affermato l’effettività della compravendita e la congruità del prezzo corrisposto.
Hanno aggiunto che la compravendita sarebbe avvenuta a seguito della separazione
personale dei coniugi e troverebbe in questa circostanza la sua ragion d’essere.
A seguito della soppressione ex lege della Sezione Distaccata di Empoli, ove la
causa era stata originariamente incardinata, il processo è stato trattato presso la sede
centrale, previa assegnazione a questo Ufficio (cfr provv. Presidente sezionale
26.11.2013).
Con ordinanza del 21.11.2014 il Giudice ha disposto che le parti esperissero
procedimento di mediazione, incombente che non ha avuto esito positivo.
La causa è stata istruita in via documentale.
All’udienza del 19.01.2016 le parti hanno precisato le conclusioni.
BANCA ha chiesto l’accoglimento della domanda come in atto di citazione,
insistendo anche nelle istanze istruttorie formulate.
I convenuti hanno chiesto in via preliminare dichiararsi l’improcedibilità per
tardività dell’avvio del procedimento di mediazione; nel merito hanno concluso come
nelle rispettive comparse di costituzione insistendo in via istruttoria per quanto
domandato con le memorie ex art. 183 VI co. c.p.c.
Sono state depositate note conclusionali autorizzate.
All’udienza odierna la causa è passata in decisione a seguito di discussione orale.
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1. Sulla improcedibilità per mancato tempestivo deposito della domanda di
mediazione.
Trattasi questione da trattare per prima, in quanto avente natura pregiudiziale di rito
e potenzialmente idonea a definire il giudizio.
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E’ documentale che la mediazione è stata disposta il 25.11.2014, con assegnazione
di termine ex lege di 15 giorni per la proposizione del relativo procedimento, e che la
domanda di mediazione, inviata per posta raccomandata il 5.12.2014, risulta pervenuta e
depositata dall’Organismo di mediazione in data 17.12.2014, e quindi dopo la scadenza
del suddetto termine.
Ciò posto, va preliminarmente rammentato il più volte affermato orientamento di
questo giudice in materia di termini per l’avvio del procedimento di mediazione c.d.
delegata.
Ai sensi del d.lgs. 28/2010 l’invio delle parti in mediazione costituisce potere
discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo
stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, sempreché non sia stata tenuta
l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo
esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. d.lgs.
citato). Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il
processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Lo stesso art. 5, II co. prevede espressamente che il Giudice assegna termine di
giorni 15 “per la presentazione della domanda di mediazione”.
L’avvio tardivo del procedimento di mediazione inficia l’intera procedura e non è
idoneo a ritenere assolta la condizione di procedibilità. Questo giudice ha infatti sempre
ritenuto che tale termine abbia natura perentoria, ovvero che, comunque, il mancato
rispetto di esso, anche ove considerato ordinatorio, comporti la decadenza dalla relativa
facoltà (si veda per tutte la sentenza del 4.06.2015, pubblicata su numerosi siti on line).
Nel caso di specie, occorre stabilire se ai fini della tempestività della
“presentazione” della domanda di mediazione si debba avere in ogni caso riguardo alla
data di deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo adito, ovvero a quella,
in caso di utilizzo della posta raccomandata, di invio della medesima.
Ritiene il giudicante che la risposta corretta sia quest’ultima.
Invero, anche se la mediazione è adempimento che si svolge in via incidentale ed
al di fuori del procedimento giudiziario, non può certo dubitarsi, anche per l’innegabile
collegamento ed interdipendenza tra le due procedure sotto il profilo della procedibilità
della domanda, che ad esso sia applicabile, eventualmente in via analogica, la disciplina
del processo.
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Ciò posto, il disposto dell’art. 5 d.lgs. 28/2010, nella misura in cui prevede un
termine per l’avvio della mediazione, va quindi interpretato nel senso che ai fini della
tempestività dell’incombente debba aversi riguardo alla data di invio della relativa
domanda e non dalla sua ricezione e deposito da parte dell’ente destinatario.
Tale soluzione è coerente con il principio più volte espresso dalla Corte di
legittimità, secondo cui, ove debba procedersi a pena di decadenza a notifica di un atto
nel rispetto di un termine processuale, è sufficiente che l’atto sia posto in notifica prima
della scadenza, non rilevando invece che la stessa si perfezioni successivamente per il
destinatario (di recente, si veda Cass., n. 3755/14; 22995/14 nonché Corte cost. sent. n.
447/2002).
Altrimenti argomentando, si avrebbe un onere eccessivamente gravoso a carico
della parte interessata ad attivare il procedimento, e ciò anche in considerazione della non
eccessiva durata del termine previsto dalla legge per tale incombente (15 gg) e della non
imputabilità dei ritardi inerenti la trasmissione a mezzo posta e della stessa formalità di
deposito.
D’altra parte il termine di 15 gg non è finalizzato a consentire il deposito della
domanda di mediazione, bensì, esclusivamente la sua “presentazione” all’organismo di
mediazione.
L’utilizzo di termine atecnico, quale quello di “presentazione”, lascia chiaramente
intendere che la stessa può attuarsi con modalità tra loro equipollenti, purché comunque
idonee a dare certezza legale circa il rispetto del termine concesso.
Né d’altra parte appare decisivo sul punto il disposto di cui all’art. 4, I co., del D.
Lgs. citato, secondo cui “la domanda di mediazione … è presentata mediante deposito di
un istanza presso un organismo …In caso di più domande relative alla stessa
controversia la mediazione si svolge avanti all’organismo territorialmente competente
presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della
domanda si ha riguardo alla data di deposito dell’istanza”.
La circostanza che tale disposizione faccia espresso riferimento al “deposito” come
modalità di presentazione dell’atto ed ai fini di determinare la priorità tra più domande ai
fini della competenza, non esclude che l’istanza possa essere utilmente proposta, sia pure
al limitato fine di non incorrere nella violazione del termine di legge e quindi di escludere
i citati effetti decadenziali, con la modalità qui contestata.
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La data di deposito dell’istanza è quindi solo elemento rilevante ai fini di
determinare la priorità di essa in caso di presentazione di più domande aventi ad oggetto
la medesima controversia di fronte ad organismi distinti.
Ciò non esclude che ai fini del tempestivo avvio della procedura si debba avere
riguardo alla data di invio della domanda con mezzi equipollenti.
Non si vede pertanto per quale ragione debba ritenersi irrituale l’invio in posta
raccomandata della relativa domanda, ovvero i motivi per cui, ove la parte si avvalga di
tale facoltà, la stessa dovrebbe accollarsi il rischio di eventuali ritardi imputabili
all’agente postale.
Si aggiunga che dallo stesso modello di domanda di mediazione redatto
dall’organismo di conciliazione bancaria, adito nella fattispecie, si evince la possibilità di
inoltro a mezzo posta della relativa istanza, cosicchè eccessivamente formalistica sul
punto appare la diversa soluzione, peraltro adottata, per quanto consta, solo da isolato
precedente di merito (Trib. Busto Arstizio 15.6.2012).
Poiché nella fattispecie è documentale che la domanda è stata inviata per posta
raccomandata il 5.12.2014, e quindi addirittura 6 giorni prima della scadenza del termine
assegnato, appare evidente la tempestività dell’adempimento.
L’eccezione va quindi respinta.
2. Sulla azione revocatoria proposta ex art. 2901 c.c.
L’attore ha proposto, in tesi, domanda revocatoria ex art. 2901 c.c., chiedendo che
venga dichiarata l’inefficacia della compravendita avvenuta il 13.01.2010.
In via preliminare i convenuti hanno eccepito la carenza di interesse ad agire
rappresentando che sull’immobile oggetto della compravendita è stata iscritta ipoteca non
solo da parte di BANCA, ma anche, in precedenza, da parte della BCC di Cambiano che
aveva concesso altri due mutui per complessivi € 364.000,00. Secondo parte convenuta,
“il residuo debito esistente per i predetti tre mutui ipotecari è altamente superiore al
valore economico dell’immobile in parola”. Ne seguirebbe la materiale impossibilità per
la banca di vedere soddisfatte le pretese azionate sull’immobile in questione e, quindi, la
mancanza di interesse ad agire.
Occorre innanzitutto distinguere tra il credito della BANCA garantito da ipoteca e
il credito chirografario della stessa.
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In relazione al credito garantito non si può dubitare che manchi un effettivo
interesse ad agire di BANCA, visto che il creditore ipotecario rimane immune, in virtù
del diritto di sequela, dai pregiudizi derivanti dall’atto di compravendita.
A diversa soluzione si giunge per quanto riguarda il credito chirografario (€
448.984,44).
In primo luogo, infatti non vi è in atti alcuna prova dell’entità del credito residuo
garantito dalle ipoteche di grado precedente. Non può quindi escludersi che per, causa il
parziale pagamento dei debiti cui si riferiscono le iscrizioni precedenti, l’atto dispositivo
possa essere in concreto pregiudizievole per la parte attrice.
In secondo luogo va richiamata la condivisibile giurisprudenza della S.C. ai sensi
della quale “la circostanza che i beni, oggetto dell’atto dispositivo in questione, [siano]
stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo […] non vale ad escludere l’eventus
damni. È bensì vero che l’art. 2741 c.c.nell’attribuire a tutti i creditori eguale diritto di
essere soddisfatti sui beni del debitore, fa salve le legittime cause di prelazione, ma non
per questo l’atto dispositivo del bene ipotecato, compiuto dal debitore, può ritenersi
indifferente nei riguardi di ogni altro creditore, altro essendo che costoro, per soddisfare
il loro credito, possano fare affidamento su beni del debitore ancorché ipotecati, altro
che si trovino invece, a seguito dell’atto dispositivo, di fronte ad un patrimonio
immobiliare, dello stesso debitore, divenuto inesistente: invero, l’azione revocatoria
ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal
patrimonio del suo debitore (Cass. n. 19131 del 2004), e non già, […] la garanzia
specifica” (Cass. civ. 27718/2005).
Sul punto va anche richiamata la consolidata e univoca giurisprudenza della
Cassazione secondo cui, ai fini dell’art. 2901 c.c., non è necessario che l’atto dispositivo
costituisca di per sé un danno in capo al creditore, ma è sufficiente che esso renda più
incerto o difficile il soddisfacimento del credito (ex multis: Cass. civ. sent. 1896/2012 e
7767/2007).
Tale principio è stato anche di recente specificato dalla S.C. nel senso che “la
presenza di ipoteche sull’immobile trasferito con l’atto oggetto di revoca non esclude di
per sé il requisito del pregiudizio del trasferimento stesso per il creditore chirografario
procedente ex art. 2901 c.c., (eventus damni) nè, di conseguenza, l’interesse di questi a
proporre tale azione” (Cass. civ. 16793/2015).
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D’altra parte non può escludersi a priori l’eventualità che siano pagati
spontaneamente i crediti garantiti dalle ipoteche iscritte, circostanza che renderebbe
sicuramente pregiudizievole l’atto oggetto di causa.
Tali considerazioni inducono a ritenere a fortiori infondata anche l’eccezione dei
convenuti per la quale mancherebbe un eventus damni, atteso che l’immobile è stato
ceduto a titolo oneroso e che non vi sarebbe di conseguenza pregiudizio delle ragioni
creditorie. La Cassazione ha ripetutamente affermato che la sostituzione di beni immobili
con il denaro ricavato dalla compravendita costituisce un pregiudizio alle ragioni del
creditore, dal momento che comporta una variazione qualitativa del patrimonio del
debitore idonea a provocarne con maggiore facilità la dispersione (ex multis Cass. civ.
1896/2012).
Né rileva la circostanza che i compratori si siano accollati le residue rate dei mutui
ipotecari relativi all’immobile, valendo sul punto le considerazioni di cui sopra circa la
persistenza dell’interesse alla revoca.
Inconsistente è poi la circostanza, asserita dai convenuti, per cui la compravendita
sarebbe avvenuta “in trasparenza” e “senza alcuna opposizione della Banca”. Anche ad
ammettere, in ipotesi, la veridicità dell’allegazione, tale circostanza non poterebbe
comunque valere quale tacita rinuncia alle pretese creditorie, attesa l’inesistenza di un
comportamento univoco.
Appurato che il rapporto fideiussorio tra BANCA e i coniugi B e C è sorto
precedentemente rispetto all’atto di compravendita ( si vedano i numerosi documenti
prodotti da BANCA e datati a partire dal gennaio 2007), va altresì rilevato che il sorgere
del credito e il relativo acquisto della qualità del debitore da parte del fideiussore (cfr.
Cass. civ. 22465/2006) è anch’esso avvenuto precedentemente all’atto di disposizione
pregiudizievole: a tal proposito, BANCA ha provato documentalmente esposizioni sui
conti correnti della srl per circa € 250.000,00 al 12.01.2010 (cfr. doc. 4 fascicolo
BANCA).
Ciò posto, resta da vagliare la sussistenza degli altri requisiti previsti dall’art. 2901
c.c.
Quanto alla sussistenza del credito, va premesso che il giudizio relativo all’azione
revocatoria non costituisce giudizio di accertamento del credito. In questa sede infatti è
sufficiente limitarsi ad accertare la non manifesta infondatezza delle pretese creditorie,
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potendo bene essere proposta azione ex art. 2901 c.c. anche in presenza di crediti litigiosi
ed eventuali. Come è stato autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, l’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente
logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria (cfr. SU Cass. civ. n.
9440/2004) .
La BANCA ha ad ogni modo sufficientemente provato il proprio credito, contestato
dai convenuti, producendo copie dei numerosi contratti fideiussori, degli estratti conto e
degli scoperti, documenti non disconosciuti da parte dei convenuti.
Per quanto attiene alla decadenza eccepita ex art. 1957 c.c., va rilevato che i
contratti stipulati in data 16.01.2007 (da B e C), 15.05.2007 (solo da C) 21.06.2007 (solo
da C), 30.01.2009 (da B e C), comportanti obblighi fideiussori per complessivi €
409.000,00, derogano espressamente al detto art. 1957 c.c..
E’ pertanto da escludere che la banca sia decaduta dalla facoltà di escutere le
fideiussioni ai sensi della suddetta disposizione.
Occorre ora vagliare la sussistenza della c.d. scientia fraudis e della c.d. participatio
fraudis.
La natura onerosa del negozio di compravendita di cui viene chiesta la revoca
comporta per la parte attrice l’onere di provare non solo che il debitore fosse consapevole
della natura pregiudizievole che l’atto arrecava alle ragioni della banca, ma anche della
c.d. participatio fraudis, ovvero della conoscenza da parte del terzo acquirente della
medesima circostanza (ex multis Cass. 5359/2009).
Tale prova è stata raggiunta.
Per quanto attiene allo stato soggettivo dei venditori, non è possibile in alcun modo
dubitare che C, legale rappresentante e socio al 95% della SRL, fosse a conoscenza della
situazione di crisi in cui versava l’impresa, tanto più che l’atto di compravendita si è
formato lo stesso giorno in cui la società è stata messa in liquidazione (nominando C
liquidatore).
Analoghe considerazioni valgono per la sig.ra B, in considerazione del rapporto di
coniugio con C.
Neppure possono sussistere dubbi circa la presenza della participatio fraudis.
Infatti, la stretta relazione di parentela/affinità tra compratori e venditori fa ritenere
con certezza che i primi fossero a conoscenza della situazione economica dei secondi,
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sarebbe a dire sia della qualità di fideiussori dei coniugi B e C, sia della sostanziale
insolvenza della Srl.
Una simile circostanza è di per sé sufficiente al fine di configurare la sussistenza
della participatio fraudis, che, come ha autorevolmente affermato la S.C. (cfr. sentt.
18315/2015 e 5359/2009), può essere accertata anche solo tramite il ricorso a presunzioni.
La S.C. ha inoltre specificamente chiarito che lo stretto legame parentale tra il debitore
disponente ed i terzi rende estremamente plausibile la presunzione che quest’ultimi siano
a conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (cfr. sent. 5359/2009).
La domanda ex art. 2901 c.c. va pertanto accolta.
Rimane assorbita la domanda di simulazione e ogni altra questione.
3. Sulle spese di lite
Attesa la totale soccombenza dei convenuti, gli stessi vanno condannati al
pagamento delle spese di lite che vanno stimate ai sensi del d.m. 55/2014.
Il valore della causa va stimato nel prezzo dichiarato di compravendita
dell’immobile, € 178.800,00, e non nel maggiore ammontare del credito chirografario.
Infatti, il d.m. 55/2014, sebbene preveda all’art. 5 I co. che “nei giudizi per azioni
surrogatorie e revocatorie, si ha riguardo all’entità economica della ragione di credito
alla cui tutela l’azione è diretta”, dispone all’art. 5 II co. che “in ogni caso si ha riguardo
al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle
parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di
procedura civile o alla legislazione speciale”.
Da tali disposizioni, che erano già contenute nel d.m. 127/2004, la Cassazione ha
tratto il condivisibile principio per cui “ai fini della liquidazione degli onorari a carico
del cliente ed a favore dell’avvocato che abbia prestato la sua opera in un giudizio
relativo ad azione revocatoria, qualora il valore della controversia sia manifestamente
diverso da quello presunto a norma del codice civile, esso si determina non già sulla base
del credito a tutela del quale si è agito in revocatoria, ma sulla base del valore effettivo
della controversia” (sent. 19520/2015).
Nel caso di specie, il valore effettivo della controversia coincide con il valore del
bene immobile oggetto della compravendita, come dichiarato nell’atto.
Lo scaglione di riferimento è pertanto quello € 52.000,00 – 260.000,00.
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La liquidazione delle spese va effettuata in misura inferiore a quella media in
considerazione della natura documentale della lite e delle modalità semplificate della
decisione (art. 281 sexies c.p.c.).
P.Q.M.
Visto l’art. 281 sexies c.p.c.
Il Tribunale di Firenze, sezione III civile in composizione monocratica,
definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa:
1) RESPINGE l’eccezione di improcedibilità della domanda attorea;
2) REVOCA e DICHIARA inefficace nei confronti della BANCA la compravendita
avvenuta in data 13.01.2010 ai Rogiti del notaio Gustavo Cammuso, Notaio in Empoli,
Rep. 11644 Raccolta n. 9507, registrata ad Empoli il 18.01.2010 e trascritta presso la
competente RR.II di Volterra il 21.01.2010 ai Reg.Gen 495 Reg.Part.306, relativa
all’immobile sito in Comune di Montaione (FI) – Fraz L’Olmo, Via Poggio all’Aglione
n. 22 –; venditori: C ½ di piena proprietà- B ½ di nuda proprietà di appartamento posto
al piano primo; distinto al NCEU di detto comune al foglio di mappa 81 part. graffate
177 sub. 503 – 198 sub. 503 – 198 sub. 504 cat- A/2 l’appartamento il resede e le cantine
e part. 177 sub. 11 cat. C/6 l’autorimessa. Oltre quota millesimale su enti comuni distinti
al NCEU di detto Comune al foglio 81: part. 189, piscina; part. 198 sub. 1 e sub. 2 locale
termico e resede; part. 179 e 186 strada privata e resede condominiale.
3) ORDINA al Direttore dell’Agenzia del Territorio competente l’annotazione della
presente sentenza a margine dell’atto impugnato, con esonero di responsabilità;
4) CONDANNA i convenuti B, C, D e E a rimborsare in favore di BANCA le spese
di lite, che si liquidano in € 11.000,00 per compensi di avvocato ed € 1.150,00 per esborsi
oltre rimborso forfettario 15% IVA e CPA come per legge.
Il Giudice
dott. Alessandro Ghelardini
Firmato
Fonte: Ilcaso.it