MEDIAZIONE CIVILE: IL RUOLO CENTRALE DELL’ASCOLTO
Le fasi della mediazione e il ruolo principale del mediatore
Il fine principale della mediazione civile è appunto quello di facilitare ed aprire i canali di comunicazione tra le parti in lite, previa sapiente individuazione degli interessi rilevanti e sottesi alle diverse richieste deferite alla cognizione del mediatore.
Il mediatore non è un giudice o un arbitro e la sua funzione non si identifica con la decisione – secondo diritto o secondo equità – della controversia.
Il suo ruolo principale è quello di creare empatia e far avvicinare le parti, utilizzando in primis lo strumento del dialogo, e le attribuzioni rientranti nel novero dell’ars oratoria. La legge infatti sottolinea questo aspetto sostenendo che “il mediatore non si limita a regolare questioni passate, guardando piuttosto ad una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura”.
Il mediatore deve poi essere imparziale e totalmente ”svincolato” da qualsivoglia legame con le parti e con la controversia oggetto del suo intervento conciliativo.
Le fasi indefettibili di ogni procedimento di mediazione sono dunque riconducibili a quattro momenti logico-giuridici distinti: separazione dei problemi dalle parti in lite; focalizzazione sugli interessi; generazione del maggior numero di opzioni di risoluzione della lite; determinazione dei risultati con valutazioni oggettive ed imparziali.
Quanto alla prima fase, ruolo centrale del mediatore sarà quello di alienarsi rispetto ai problemi singolari delle parti e comprendere invece le diverse percezioni dei fatti che le parti hanno avuto: sarà essenziale far partecipare tutte le parti al processo di negoziazione. Molte volte infatti, l’ostilità delle parti dipende da fattori nascosti e subdoli che sarà premura e compito precipuo del mediatore far evidenziare.
Comprendere gli interessi significa dunque, non fossilizzarsi sulle posizioni sostenute dalle parti ma allargare il campo visivo d’indagine in un’ottica a tutto tondo, che potrà, per i soli fini inerenti la fase successiva, estendersi anche ad altri rapporti esistenti e/o futuri tra le parti, ciò al fine di ampliare anche la prospettiva delle parti ad una vera e propria ”ricucitura” dei rapporti.
In questa fase di esplorazione degli interessi molto utili saranno le domande aperte, riservando invece le domande circolari alla fase di reciproco riconoscimento e quelle chiuse nella definizione dell’accordo negoziale.
L’analisi delle diverse problematiche ad opera del mediatore sarà facilitata dalla mancanza di formalità della procedura, richiamata dalla stessa normativa la quale rende celere l’intero iter procedimentale.
Altri aspetti fondamentali sono poi l’autodeterminazione delle parti, le quali debbono sentirsi libere e partecipare in modo attivo e propositivo mediante la guida del mediatore e la neutralità di quest’ultimo.
Tali caratteristiche sono egualmente contenute nel modello sviluppato dall’Università di Harvard, definito Program on Negotiation, interessante modello di negoziazione e non solo ai fini teorici.
Dopo la comprensione profonda, il mediatore dovrà sollecitare le parti a formulare il più alto numero di possibili soluzioni al fine di individuare la migliore alternativa all’accordo negoziale (MAAN), laddove quest’ultimo non dovesse essere raggiunto.
I risultati così ottenuti dovranno essere caratterizzati da obiettivi chiari, specifici, non aleatori o non facilmente raggiungibili prevedendo altresì dei meccanismi automatici di controllo dimodoché, al variare della situazione l’intero accordo non risulti compromesso.
La comprensione e il dialogo saranno le vere pietre miliari su cui impostare l’intero ragionamento alla base del procedimento di mediazione.
Il tipo di ascolto del mediatore deve essere attivo, volto ad una comprensione profonda e qualificata della persona e delle sue istanze, neppure svincolato dal dato fattuale e giuridico che il personalismo e il solidarismo di stampo cristiano, oltre all’eguaglianza nella giustizia sociale hanno posto alla base del nostro intero ordinamento giuridico, incastonati a diamante negli articoli 2 e 3 della nostra amata Carta costituzionale.
I diversi obiettivi descritti nei precedenti punti rimangono vivi in tutti i momenti della mediazione. Nell’incontro preliminare infatti, il mediatore mediante l’impiego di tecniche di connotazione positiva e l’ausilio delle domande circolari cercherà di operare il reciproco riconoscimento delle parti donde evitare che una posizione, o meglio la sua ricostruzione, definita da una parte prevalga sull’altra.
Nell’incontro congiunto con tutte le parti in lite si dovrà illustrare il procedimento e le singole norme che ne disciplinano il suo funzionamento focalizzandosi in particolare sui principi della riservatezza, autodeterminazione e oculata gestione delle sessioni private. A questo incontro seguiranno le cc.dd. sessioni private o incontri privati che hanno l’obiettivo di far emergere richieste, disponibilità delle parti ma anche eventuali punti deboli delle loro posizioni.
Il tutto, al fine unico di costruire una “via d’uscita” alternativa alle posizioni delle parti, consentendo in secondo luogo, ma non certo per ordine di importanza, la prosecuzione dei rapporti personali fra i litiganti.
In qualsiasi momento spetta al mediatore l’esercizio di qualità indefettibili quali l’autorevolezza, abilità e capacità relazionali, comunicative e di ascolto attivo, apertura mentale ed apertura verso gli altri, abilità nella gestione del conflitto facendo comprendere e sottolineando a più riprese alle parti che egli non intende schierarsi con una posizione piuttosto che con l’altra ma che il fine precipuo della sua attività è quello di creare un clima di cooperazione e collaborazione fra le parti all’unico fine di provocare il concilium.
Si può dunque affermare che l’azione del mediatore, quale terzo neutrale nella procedura di mediazione, permette di superare larga parte degli ostacoli legati all’emotività delle persone coinvolte spostando il baricentro della lite basata sui tradizionali sistemi avversariali, dalla predisposizione al negoziato competitivo verso il negoziato collaborativo.
Sul punto, il professor Sebenius ha individuato sei errori frequenti che impediscono la corretta gestione di un negoziato ed in particolare, trascurare i problemi della controparte, lasciare che gli interessi economici sovrastino gli altri interessi, focalizzare l’attenzione sulle posizioni invece che sugli interessi, insistere nel cercare una base comune, ignorare le migliori alternative all’accordo negoziato (MAAN), non riconoscere percezioni soggettive (pregiudizi di ruolo) ed errori di attribuzione (valutazione della controparte).
Non sempre infatti la mediazione si concluderà con una conciliazione e nel caso in cui ciò dovesse accadere non è detto che tale soluzione sia ”giusta” secondo i criteri dettati dal diritto e/o dall’equità. È infine utile – ai fini che qui ci occupano e per comprendere la natura della mediazione- sottolineare l’aneddoto delle due sorelline in lite per un’arancia: entrambe rivendicano per sé l’intero frutto e la divisione equa ne conferirebbe metà ciascuna, soluzione che non porta però la soddisfazione di alcuna. La prima sorellina infatti voleva il frutto per una spremuta mentre la seconda necessitava della buccia per farne dei canditi.
L’intervento di una ”mamma mediatrice” avrebbe facilitato il processo comunicativo.
Dott. Massimiliano Pagliaccia
FONTE: http://studiocataldi.it