Mediazione: il verbale deve indicare le ragioni del rifiuto della parte
LA SENTENZA
TRIBUNALE di ROMA Sez. XIII ORDINANZA
Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
-1-
Nella causa epigrafata, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento relativa ad un danno subito dall’attrice L.Z. a seguito di un trattamento estetico per la ricostruzione delle unghie, il giudice, dopo una breve istruttoria, disponeva la mediazione demandata con ordinanza dell’11.5.2015.
Con tale ordinanza il giudice, oltre ad indicare, secondo un modello procedimentale già positivamente sperimentato in altre cause, i punti sui quali le parti in mediazione avrebbero potuto utilmente dirigere ed approfondire la discussione con l’ausilio e la fattiva presenza di un mediatore dell’organismo prescelto, evidenziava (icasticamente, visto che il testo veniva redatto in neretto sottolineato), con significativo avvertimento, la necessità della effettiva partecipazione delle parti al procedimento di mediazione demandata 1, invitando altresì il mediatore a verbalizzare le dichiarazioni delle parti all’esito dell’introduzione del procedimento da parte dello stesso mediatore, per le valutazioni di competenza da parte del giudice nel caso la causa fosse proseguita 2
Sempre nella medesima ordinanza, il giudice ricordava che “la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa”
La causa in effetti proseguiva, e nel verbale di mediazione del 6.7.2015, la mediatrice dott.ssa M.R. dell’Organismo A. di Roma, dava atto che:
erano comparsi L.Z. (attrice della presente causa) istante, assistita dall’avv. S. R. e V. D. (convenuta nella presente causa) convocata, assistita dall’avv.to M.C.;
aveva illustrato alle parti compiutamente le modalità del procedimento di mediazione;
aveva invitato le parti ad esprimersi sull’interesse (sic, n.d.r.) a proseguire nella procedura di mediazione;
la parte attrice aveva manifestato il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione;
la parte convenuta NON manifestava il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione; ed infine
che le parti dichiaravano l’esito negativo del primo incontro di mediazione, dando atto della volontà delle parti di non dare prosecuzione al procedimento
-2-
Va premesso che la verbalizzazione ad opera della mediatrice delle suddette dichiarazioni delle parti è ammissibile e corretta (salvo quell’ “interesse” su cui si dirà in prosieguo).
E’ opportuno, a tale proposito, esporre sinteticamente il quadro normativo in tema di mediazione, riservatezza, e verbalizzazione del mediatore
Il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza 3 il che sta a significare che al fine di consentire l’effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni che neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia…
Occorre però perimetrare con esattezza giuridica tale principio.
Che, in primo luogo, non vale, per espressa disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte dichiarante
Inoltre, per coerenza logico-giuridica con quanto testè osservato a proposito della tutela della libertà di dialogo che va garantita alle parti, il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite.
Ogni qualvolta invece, tali dichiarazioni, quand’anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell’utilizzo da parte di chicchessia.
Ed invero, in tale ambito una compiuta verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la conoscenza del contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi; conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl.28/2010 relative alla procedibilità delle domande ed all’art.8 co. 4 bis 4 dello stesso decreto, nonché, in via generale, dell’art.96 III° cpc
Sarebbe infatti un’assoluta aporia prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro precludergli la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale ritualità o meno integrano.
Per la medesima ragione, deve essere verbalizzata dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti interpellate alla fatidica domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr.lgsl.28/2010) A tale proposito, oltre alla dichiarazione consistente nella risposta alla predetta domanda, è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria.
Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione (peraltro nell’ambito delle attività del mediatore, sarebbe buona prassi degli organismi fornire alle parti, oltre le informazioni che la legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle questioni più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).
Come si vedrà in prosieguo, la ragione del non voler proseguire oltre l’incontro informativo non è affatto irrilevante per la parte.
E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall’avente diritto. Ed invero ogni parte può esonerare il mediatore dall’obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni (cfr. art. 9 della legge).
Ciò assume specifico rilievo nel casi in cui, come quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza nel contesto delle varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.
Conclusivamente, il mediatore deve trascrivere ogni circostanza – quand’anche consistente in dichiarazioni delle parti – utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.
Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa.
Fra essi vanno ricordati in primo luogo la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 commi 1 bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all’art. 8 co. 4 bis, gli effetti nella causa della proposta del mediatore di cui all’art. 13, l’efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di cui all’art.12 e benché non espressamente affermato dalla legge, la producibilità nella causa della relazione dell’esperto di cui all’art. 8 co. 4 5
Una corretta verbalizzazione da parte del mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del procedimento di mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si appalesa quindi più che utile, doverosa e necessaria.
Ed il giudice svolge a tale fine una fondamentale attività didattica e di raccordo, nella grande varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall’esame dei verbali degli organismi di mediazione 6
-3.1-
La natura dell’incontro di mediazione di cui all’art 8 co. quinto della legge 7.
Sulla base di una interpretazione meramente letterale delle norme (cf. pure il comma 2 bis 8 dell’art.5 della legge) ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, si potrebbe ritenere che il procedimento di mediazione sia concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata. L’erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.
Sarebbe a dire, in altre parole, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste in ciò che è ben descritto nella lettera a. dell’art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell’art.11 della legge) e dall’altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (che conseguentemente non si è svolta) ..la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta…
Un perfetto ossimoro.
Aderendo a tale accezione si deve postulare che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo ha ordinato !), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che la mediazione fosse stata esperita davvero. Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale.
Non solo.
Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual è quella che ci occupa) possano rapportarsi alle informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del “primo incontro” (il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione) come davanti ad un quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, la prospettiva della mediazione, è cosa confliggente con la realtà, posto che invero le parti sono state già adeguatamente abbondantemente e preventivamente informate di che trattasi. Una prima volta al momento del conferimento del mandato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia dell’informativa mancata, con l’intervento supplettivo del giudice) ed una seconda, all’atto della doverosa informativa dell’avvocato al cliente del contenuto dell’ordinanza di mediazione demandata.
Ed ancora.
Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione.
A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti di discussione, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica null’altro che mera ingiustificata renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice.
-3.2-
Quale che sia stato l’intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in commento un’interpretazione in linea con la Carta Costituzionale.
Va premesso che per molto tempo nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale.
Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle.
Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario.
Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall’ordinamento giuridico come fa la Corte. Tuttavia, con l’avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire l’opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell’ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità, è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio. Nel caso in esame, l’interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale.
Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all’art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l’irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere il suo lavoro). L’interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e somministra le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni.
Successivamente ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all’art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.
Anche in base a tale parametro l’interpretazione letterale non supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di sanzioni).
Tale interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione.
Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento integrale della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali ragioni “pregiudiziali” non rendano possibile, nel senso di utilmente svolgibile, l’esperimento conciliativo; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l’opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte (per quanto all’evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione 9)
-4-
In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato.
Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato- di procedere nella mediazione sono sovrapponibili alla mancanza tout court della (partecipazione alla) mediazione: non della mediazione, in virtù della dichiarazione dell’istante-attrice di voler procedere Con quanto ne può conseguire.
Non può infatti essere oggetto di dubbio che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non possa giammai, e specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell’esperimento della mediazione
La quale, giova ricordarlo, consiste nell’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (così testualmente l’art. 1 co.1 lett. A della legge).
-5-
Con tali premesse, non si ritiene necessario disporre la consulenza tecnica medica sulla persona dell’attrice (e sugli atti), essendo la causa matura per la decisione.
P.Q.M.
a scioglimento della riserva che precede,
RIMETTE le parti davanti a sé all’udienza del 28.11.2016 h. 9.30 per le conclusioni
e per la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies cpc con termine per eventuali
note autorizzate fino a dieci giorni prima. Roma lì 25.1.2016
Il Giudice dott.cons.Massimo Moriconi
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/111677_mediazione-il-verbale-deve-indicare-le-ragioni-del-rifiuto-della-parte#sthash.Eogcl9U4.dpuf