TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°
ORDINANZA
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
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Si ritiene che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo.
Con alcune premesse.
E’ sicuramente possibile, nella presente fattispecie, redigere una proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc [1] , sussistendone gli elementi di fatto e di diritto.
Il giudice ha sperimentato per due anni con indubbio notevole successo tale strumento.
Che richiede tempo, impegno e perizia.
Occorre avvicinarsi quanto più possibile a quella che sarebbe una sentenza allo stato degli atti, variandone però l’esito con sapienti prudenti integrazioni e correttivi, ispirati dall’equità e all’obiettivo dell’accordo conseguibile solo attraverso la prospettazione ad ognuna delle parti di un possibile vantaggio ricavabile dall’accordo rispetto alla sentenza.
Benché la legge non lo richieda, il raggiungimento dell’accordo è vieppiù favorito da eventuali indicazioni motivazionali del giudice, sintetiche ma espressive dei punti di forza e di debolezza delle parti alle quali è diretto il provvedimento.
Una volta che le parti raggiungono l’accordo, la causa viene abbandonata e cancellata (mediante art.309 cpc)
Il siffatto lavoro del giudice è molto impegnativo e se non fatto con notevole perizia, non solo non produce alcun risultato, ma può essere anche controproducente laddove interferisca in modo disarmonico sulle posizioni delle parti che siano, già per loro conto, non del tutto avulse da una possibilità di accordo.
Allo stato, nonostante in ogni occasione, scritto e convegno, sia stata richiamata l’attenzione di chi spetti a che questo lavoro del giudice sia in qualche modo e misura valorizzato, nulla è stato fatto, per cui tuttora vale il paradosso che il giudice sottrae tempo all’unico vero ambito dove si effettuano rilevazioni e valutazioni del suo lavoro, vale a dire le sentenze (sic), senza che ciò, pur quando il conseguente smaltimento del ruolo è testimoniato dalla presenza di numerosi accordi (di cui è prova l’abbandono delle cause) che fanno seguito alla proposta, sia né rilevato né valutato.
E’ pertanto opportuno ed utile, sperimentare altri moduli operativi [2]
In particolare, attesi gli ottimi risultati che la mediazione sta dimostrando, [3] occorre affinare e ottenere il meglio da questo strumento.
La mediazione demandata dal giudice (art. 5 co.II° decr.legsl.28/10 come modificato dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69), che richiede anch’essa da parte del giudice attenzione e studio, ma non dovendo contenere una proposta specifica è certamente meno impegnativa.
In questo contesto, è possibile prevedere, al fine di incrementare l’efficacia del provvedimento rispetto al modello della semplice e anodina ordinanza di invio in mediazione, la presenza di indicazioni motivazionali, così come già sperimentato nell’ambito della proposta del giudice.
Mentre però in quel caso (art. 185 bis) tali indicazioni erano funzionali a propiziare nelle parti l’accoglimento della proposta del giudice, nel caso delle mediazione demandata, si tratta di operazione diversa.
In questo contesto il giudice segnala alle parti ed al mediatore i punti fondamentali sui quali è opportuno orientare e centrare la discussione nella ricerca dell’accordo.
Anche in questo caso (come nella proposta ex art. 185 bis), il giudice segnala, prudentemente e con lealtà gli aspetti salienti di maggiore o minore forza delle posizioni delle parti e delle risultanze istruttorie, al fine esclusivo di favorire le migliori condizioni di confronto dialogo e soluzione del conflitto
Il vantaggio della mediazione demandata rispetto alla proposta del giudice si manifesta ulteriormente nell’armamentario sanzionatorio che è costituito da [4]:
improcedibilità delle domande da chiunque proposte se il procedimento conciliativo non stato promosso, ovvero è stato esperito in modo irrituale (secondo le chiare ed espresse indicazioni esposte nell’ordinanza di invio in mediazione); e, ove di ragione,
argomenti di prova a carico ex art. 116 cpc nell’accezione prevista dall’art.8 co.4 bis del decr.lgs.28/2010 e sanzioni ex art.96 co III° (cfr. nota 7)
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La presente causa verte in materia di responsabilità medico professionale.
Un medico è stato riconosciuto con sentenza penale passata in giudicato responsabile per colpa della morte di una persona che è il padre delle attrici della causa di danni da esse azionata e conclusa (in primo grado e non ancora definitiva) con la sentenza del giugno 2015 di una collega della XIII Sezione civile di questo tribunale (RG 24216/09).
In questa causa (azionata dal coniuge del defunto) così come nell’altra era presente la struttura nosocomiale dove operava il medico e svariate compagnie assicuratrici dell’Azienda Ospedaliera da questa chiamate in causa.
In questa causa vi sono anche gli eredi del medico originario convenuto e la sua assicurazione.
Nella causa RG 24216 sono state riconosciute alle due attrici, secondo i parametri delle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, il danno da perdita parentale, aggravato dal peso della sofferenza patita nel corso degli anni trascorsi dall’evento dannoso occorso in ospedale alla morte. E’ stato escluso il danno esistenziale, perché già ricompreso nel primo.
Oltre interessi e rivalutazione.
E’ stato escluso il danno biologico e morale jure hereditatis per la ragione espressa nella sentenza (mancata consapevolezza della sua situazione da parte della vittima dell’errore medico); come pure quello patrimoniale, non provato.
E’ stata rigettata la domanda di manleva dell’ospedale nei confronti delle assicurazioni, ritenendosi operative e valide le clausole claims made, con relativa condanna alle spese dell’Azienda Ospedaliera
E’ stata effettuata una proposta transattiva dalle attrici, che riguarda sia la presente causa che quella conclusa con la ricordata sentenza.
Il giudice ritiene che le parti possano agevolmente raggiungere un accordo sulla base di quanto segue:
la proposta (unitaria e globale) del 9.10.2015 delle tre parenti del defunto e degli avvocati L.N. e S.M. che le assistono, siglata dal giudice: tale sobria proposta è condivisibile anche nella parte correttiva della sentenza relativamente alla convivenza delle figlie del defunto, fatto del tutto verosimile stante la giovane età delle stesse, anche a prescindere dalle attestazioni anagrafiche, mentre merita un qualche contenimento la richiesta di €.50.000 e quella dei compensi che si propongono equiparati ad una causa che ha visto più ampie attività difensive.
Quanto alla posizione delle assicurazioni e del medico, si potrà agevolmente cercare l’accordo sulla base della semplice compensazione delle spese, in questa; come (per i soggetti che ne sono accomunati), nell’altra causa. Per quanto riguarda le assicurazioni ciò ha il vantaggio che la validità della clausola claims made non debba essere messa troppo alla prova [5]
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E’ stata a suo tempo esperita mediazione obbligatoria senza esito.
Ciò, secondo una nota giurisprudenza non osta ad un successivo percorso di mediazione demandata ad opera del giudice, in presenza di circostanze ed acquisizioni istruttorie inesistenti prima dell’inizio della causa.
Peraltro, allorché l’invio in mediazione sia stato effettuato da parte del giudice ai sensi del riformato secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/10 si tratta non più di un semplice invito bensì un ordine presidiato da sanzioni, che presuppone peraltro, il previo effettuato vaglio, l’ esame e la valutazione degli atti di causa da parte del magistrato che l’ha disposto.
Considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione conciliativa, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, è sicuramente vantaggiosa per tutte le parti. Anche in considerazione del fatto che il sistema giudiziario verticale non garantisce, a differenza della conciliazione, a causa della possibilità di gravami, la sicurezza della stabilità dell’esito della sentenza (che la parte reputi per sé) soddisfacente.
Inoltre, nel caso di specie, attesa la presenza nella causa di un’Azienda Ospedaliera pubblica, si impone una considerazione di carattere generale.
I soggetti pubblici sono restii a partecipare, pur quando ritualmente convocati, al procedimento mediazione.
Ove mai l’esistenza di una posizione pregiudiziale in tal senso non esista, non sarebbe da aggiungere altro.
In caso contrario vale ricordare che la partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e che proprio in considerazione di ciò NON è giustificabile la scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in un danno erariale a seguito della conciliazione. Va infatti considerato che in tale timore è insita un’aporia. A prescindere che esiste la possibilità di un autorevole e rassicurante ausilio nel percorso conciliativo in mediazione [6], sta di fatto che la legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo (istante) che passivo (convocato), non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico.
Un pregiudizio in tale senso pertanto costituisce una controsenso.
Sarebbe a dire, infatti, che se una P.A. vuole introdurre una domanda giudiziale in una delle materie di cui all’art. 5 co. 1 bis del decr.lgsl.20/2010, promuove necessariamente il procedimento di mediazione, ma lo fa(rebbe) con la riserva di non accordarsi a prescindere.
Si tratta all’evidenza di un paradossale non pòssumus, del tutto contrario alla lettera ed alla sostanza della legge, che va in tutt’altra direzione.
Che è quella del raggiungimento di accordi conciliativi, senza alcuna eccezione soggettiva fra soggetti privati e pubblici.
Le P.A. pertanto hanno, in subiecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto.
Fermo restando che potrebbe essere utile procedimentalizzare la condotta del soggetto pubblico.
Vale a dire che il soggetto che è presente in mediazione in rappresentanza della P.A. abbia concordato con chi ha il potere dispositivo dei diritti oggetto di lite, perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative.
Peraltro, va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso può esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96 III° cpc) che conseguono ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A. [7]
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Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15 decorrente dal 20.4.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa
All’udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt.91 [8] e 96 III° cpc [9]
Il giudice non può, tecnicamente, ordinare la mediazione anche nei confronti delle attrici (figlie del de cuius) della causa RG ____/09, peraltro assistite dai medesimi avvocati che difendono l’attrice (moglie del de cuius) in questa causa.
Tuttavia è di tutta evidenza la necessità che al procedimento di mediazione partecipino tutte le parti interessate, peraltro nello spirito della proposta omnia formulata proprio dagli avvocati di tali parti.
D’altra parte il procedimento di mediazione, caratterizzato dalla informalità (cfr. art.3 comma 3 decr.lgs.28/’10), ben può essere svolto anche con parti ulteriori rispetto a quelle della causa alla quale pertiene il provvedimento di invio in mediazione demandata, fermo restando che nessuna conseguenza negativa può derivare a tali soggetti nel caso di mancata partecipazione.
DISPONE che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma secondo del decr.lgsl.28/2010, della controversia;
INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti [10]della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° decr.lgsl.28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona [11], assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione;
INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; oltre che dall’art.96 III° cpc;
VA fissato il termine di gg.15, decorrente dal 20.4.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
RINVIA all’udienza del 3.11.2016 h.9,30 per quanto di ragione.
Roma lì 1/02/2016
Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi
[1] strumento introdotto D.L. 21.6.2013, n.69, convertito nella L. 9.8.2013, n.98, art.77
[2] Allo stato, una realistica possibilità di deflazione del contenzioso civile a mezzo degiurisdizionalizzazione, è affidata esclusivamente alla proposta del giudice (che presuppone però che una causa già ci sia) ed alla mediazione, non essendo gli altri strumenti ottimisticamente introdotti, come agevolmente prevedibile e previsto, di alcuna efficacia ed utilità per l’ordinario contenzioso civile (così in particolare la negoziazione assistita e l’arbitrato di cui al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132)
[3] le statistiche del Ministero della Giustizia a luglio 2015 (consultabili nel relativo sito web) attestano una percentuale costante di accordi, se le parti compaiono e se la mediazione non si ferma al primo incontro informativo, di circa il 50%
[4] pagamento di una somma pari al contributo unificato, previsione questa di evidente scarsa efficacia
[5] il giudice ritiene che la questione della claims made (ma sarebbe meglio dire delle claims made nelle varie forme che tale clausola assume) dovrebbe essere affrontata e risolta in sede legislativa. E’ questione dalle così tante implicazioni, non soltanto giuridiche che ben difficilmente la giurisprudenza potrà da sola porre fine alle diatribe che la riguardano.
Personalmente dubita fortemente che tale clausola abbia qualcosa a che vedere con il contratto assicurativo configurato dal codice civile e che anzi se ne discosti in modo davvero singolare (è sufficiente evidenziare che per come elaborata dai soggetti interessati, cioè le compagnie assicuratrici- che in tal modo circoscrivono in modo certo nonché rapido e definito nel tempo, il rischio di indennizzi – la norma fondamentale che dovrebbe regolare l’oggetto del contratto di assicurazione della responsabilità civile non è più l’evento generatore del danno, come chiaramente prevede l’art.1917 cc, ma un fatto diverso ed in sé anodino, la richiesta di risarcimento del danneggiato, che rende del tutto effimera la copertura assicurativa che non è più riferita allo spazio di tempo contrattuale all’interno del quale si verifica il fatto dannoso contro il quale il contraente intendeva assicurarsi).
D’altra parte le stratosferiche richieste di danni hanno in qualche modo indotto e favorito tale elaborazione contrattuale, come forma di difesa e contenimento degli esborsi da parte delle assicurazioni.
[6] anche osservando le indicazioni contenute nelle linee guida in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali per l’attuazione dei procedimenti di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante “Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno 2009, n.69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” circolare DFP 33633 10/08/2012 n. 9/2012 per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.
[7] Cfr sentenza RG 59487/11 n.25218/15 del 17.12.2016 Tribunale di Roma giudice Moriconi applicativa dell’art.96 III° cpc, pubblicata sulle principali riviste e siti web
[8] Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
[9] Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata
[10] e, per quanto riguarda, la causa già definita con sentenza, le attrici di quel giudizio (RG ____/09)
[11] Per le persone giuridiche, pubbliche o private, “di persona” va riferito al soggetto – incaricato da chi è titolare del diritto oggetto della controversia – che ne abbia, ai fini che qui interessano, la rappresentanza, con la possibilità di disporre del diritto nell’ambito dei poteri conferitigli.